Sanctum (2011) di A. Grierson
Per lo sceneggiatore Andrei
Wight, che ha vissuto una storia simile, l’incontro ravvicinato con la morte
descritto dal film è un’esperienza che lascia il segno in chi la vive. E così
la racconta portando la situazione all’estremo e osservando cosa capita ai
protagonisti.
Cos’è Esa Ala, la madre di tutte le grotte? Vogliamo guardarla con gli
occhi di Frank, quando prova a spiegare al figlio la sua passione per la
speleologia:
Qui
sotto riesco a dare un senso ad ogni cosa. Capisci cosa voglio dire? È come la
mia chiesa. Posso guardarmi allo specchio e dire: questo sono io, è casa mia.
A muovere Frank non è solo un
desiderio di esplorare mondi che nessuno ha mai visto ma è soprattutto quello
di esplorare sé stesso, di trovare nella bellezza della natura uno specchio per
comprendere e dare senso alla vita. La vita è proprio come Esa Ala: bella e
terribile, promettente ma che può da un momento all’altro trasformarsi in un
incubo e farci incontrare la morte.
[00:01:36] È proprio di morte che
parla la prima scena del film: Josh sommerso dall’acqua al buio privo di sensi.
Lo spettatore capisce che il ragazzo, se non è ancora morto, lo sarà presto
perché non respira ed è ferito. Quando di colpo apre gli occhi inizia la
storia. Sanctum è il racconto di come una scena del genere può comunque
trasformarsi e cambiare il suo significato perché anche nella situazione più
buia della vita c’è sempre, a volte molto nascosto, un passaggio per la luce ed
è possibile trovarlo. Un educatore è colui che sa tutto questo e che accompagna
chi gli è affidato attraverso cunicoli tortuosi, bui e sommersi, fino a dargli
la possibilità di rivedere la luce e di essere libero. Vediamo come.
I personaggi principali prendono
forma con caratteristiche così stereotipate da sembrare caricature e questo li
rende molto identificabili: Frank McGuire, il più stimato esploratore
speleo-subacqueo del mondo; Carl Hurley, un capriccioso miliardario alla
ricerca di avventure mozzafiato ed estreme; Victoria, fidanzata di Carl e abile
arrampicatrice; Josh McGuire, figlio di Frank, abile speleologo ma ancora
immaturo e ingenuo. Il loro viaggio nel cuore della terra vede Frank nel ruolo
di educatore, mentore e maestro del gruppo: l’unico capace realmente di portare
in salvo. “È un tipo pazzesco il tuo vecchio, una volta che lo conosci”,
confida George a Josh ma quest’ultimo non
è della stessa idea: per lui il padre è solo uno “stronzo spietato
nazista” che ha “trascinato tutti nel suo
grande sogno impossibile”. Anche Carl, che considera Frank uno dei massimi
speleologi, sopporta mal volentieri il
suo carattere troppo duro, pignolo e insensibile. Eppure, sotto questa
apparenza di personaggio senza cuore, si nasconde un’umanità di rara bellezza
che merita di essere conosciuta e imitata, almeno per chi vuole imparare
qualcosa in più sull’educazione.
1.
Perché Frank è il migliore in quello che fa
[00:05:30] Facciamo conoscenza
con Frank mentre è in acqua, intento a provare riprovare i movimenti che gli
possono essere necessari durante l’immersione. Impressiona molto che sta
facendo esercizio non un novellino ma il miglior speleologo del mondo. Frank sa
che in un mestiere come il suo, dove anche la più piccola distrazione o
inadempienza si può trasformare in un pericolo mortale per sé e per chi sta
intorno, non può permettersi di compiere errori. Così eccolo alle prese con se
stesso: con la propria storia che si fa esperienza e con il proprio corpo che
tiene allenato e pronto per ogni evenienza. Anche un educatore deve sapere bene
quello che fa, coglierne l’importanza e la serietà senza essere mai
superficiale. Per un educatore, come per uno speleologo, non bastano le buone
intenzioni e nemmeno il buon senso: c’è
bisogno di una attenta e accurata formazione per fare bene il bene
dell’altro. E non solo. Un educatore
deve conoscere bene se stesso e deve approfondire sempre di più questa
conoscenza per imparare dalla propria storia (che non è né una cosa automatica
né facile) e per porre rimedio in tutti i modi, per quanto gli è possibile, ai
pericoli che potrebbero rendere inutile o dannosa la sua azione educativa
(pigrizia, distrazioni, abitudine,…). Inoltre
un vero educatore conosce i propri limiti, e anche questa lezione ci viene
da Frank, che più volte ammette: “Sono stanco, devo riposare”. I limiti, se
conosciuti e integrati nella propria azione non sono una debolezza: sarebbe
peggio e più irresponsabile, anche se molto più comodo, fare finta di niente e
andare avanti, come invece fa Judes, che compie l’immersione senza essere
pienamente in forma. Ma le conseguenze sono catastrofiche. Il vero educatore sa
dove può arrivare e dove no, non fa
inutilmente l’eroe mettendo a repentaglio la propria vita e quella altrui.
Proprio come molti educatori,
anche i compagni di avventura di Frank non si rendono assolutamente conto di
quello che stanno facendo: si muovono sulla scena (in modo particolare Carl e
Victoria), senza sapere dove andare.
Victoria sottovaluta l’impresa che deve realizzare: scende nella
grotta come se fosse un passatempo tra tanti e non si accorge della reale posta
in gioco. Si stupisce quando sente gli addetti ai lavori parlare di pericoli
perché per lei tutto è bello e innocuo: provare a fare la speleologa è un
divertimento come un altro. Proprio per questo non sopporta chi, come Frank,
prende la cosa con troppa serietà. Victoria è come un educatore superficiale
che inizia l’avventura educativa senza sapere bene in cosa consista e senza
preoccuparsi di scoprirlo. “Che cosa può andare storto facendo sub in grotta?”
è come dire “Perché preoccuparsi tanto? Cosa vuoi che sia?”
Carl sopravvaluta se stesso: conosce bene i rischi dell’avventura
ma pensa che siano gli altri a dover stare attenti, quelli più deboli e meno
astuti di lui. “Ehi Jim, questa grotta non può battermi”: è convinto che
nessuno possa batterlo, nemmeno Esa Ala. Quando però si trova davanti al
pericolo reale si accorge di non essere in grado di affrontarlo. Carl è come un
educatore che si ritiene migliore di chiunque altro e si butta nella sfida
impegnativa dell’educazione convinto di essere in grado di padroneggiarla con
le proprie forze, da solo e meglio degli altri, che considera incapaci.
2.
Frank non lavora da solo
Frank non lavora da solo: è
circondato da molta altra gente che lo aiuta e che rende possibile l’impresa
che vuole compiere. Senza le persone che, in diverso modo, collaborano con lui
Frank non sarebbe mai arrivato ad esplorare Esa Ala come sta facendo. Ci sono
proprio tutti nell’equipe di Frank e tutti sono importanti nel proprio ruolo
piccolo o grande. Così c’è Carl con i suoi soldi, Jim che è il riferimento
all’esterno, le persone che trasportano il materiale, i tecnici,… e Frank si
fida così tanto dei suoi collaboratori da mettere nelle loro mani la sua stessa
vita senza pensarci due volte. Così lo vediamo sicuro del preavviso che
dall’esterno dovrebbero dare sull’arrivo della tempesta, sicuro che gli
ancoraggi siano effettuati bene, sicuro che gli altri sappiano quello che
fanno,… . Proprio per questo non accetta la mancanza di responsabilità di
alcuni. Questo particolare lo si deduce dal motivo per cui Josh è finito sul
“libro nero” del padre: doveva portare le bombole di Beilout e non l’ha fatto,
comportandosi come un bambino. Josh è ancora immaturo: non si era accorto che
la vita degli altri dipendeva anche dal piccolo impegno che si era preso, anche
se apparentemente insignificante. Avere fiducia negli altri è rischioso ma è
necessario e questo Frank lo sa bene. E sa anche che ci si può fidare solo di
persone responsabili e competenti per quello che sono chiamati a fare, anche se
non sono amici stretti. Ogni educatore dovrebbe avere nei propri collaboratori
la stessa fiducia che Frank ha nei suoi, senza quindi avere la pretesa di avere
tutto sotto controllo ma avendo la certezza che ciascuno, all’interno
dell’equipe, porti avanti il proprio compito in modo responsabile. Non può
esistere un’ equipe educativa che davvero funzioni, senza che esista come
presupposto questa fiducia.
3. Il
dramma della libertà
Il tema della libertà nel film è
trattato in modo duro e spietato: nella grotta ognuno è libero di decidere se
vivere o morire. La strada per la vita è tracciata da Frank, l’unico che può
davvero portare a salvezza i protagonisti. Lo speleologo non conosce in
anticipo dove sia l’uscita ma conosce il modo per trovarla e chi vuole rivedere
la luce deve fidarsi di lui. Il regista ci mostra in modo chiaro che pur
nell’oscurità e nel complicarsi delle situazioni, ciò che provoca la morte
prima di Victoria e poi di Carl, è la scelta di non fidarsi di Frank. Se la
scelta fosse stata diversa forse si sarebbero potuti salvare anche loro.
Da una parte abbiamo la libertà
di Frank, che ha deciso di prendersi
cura di tutti quelli che sono rimasti intrappolati nella grotta. Non gli
interessa se siano simpatici o antipatici, se riconoscano il suo valore oppure
no: lui vuole portarli tutti in salvo. Frank si comporta come un vero educatore
che è disposto a rallentare il proprio cammino per accompagnare i passi di coloro
di cui si deve prendere cura. Quello che sa sulle grotte, quello che la sua
esperienza gli ha fatto imparare non è per sé ma viene messo a disposizione
degli altri. E allora lo vediamo impegnato in prima persona a creare le
condizioni perché tutti possano farcela… e lo fa non tanto con le parole ma con
i fatti. È il contrario di quello che fanno tanti educatori, che a parole si
prendono cura di tutti ma nei fatti si interessano solo dei più simpatici e
amabili, lasciando gli altri al proprio destino.
[00:43:00] Nella scena in cui il gruppo sta per partire dal Campo
Base per cercare un’uscita alternativa, Frank si trova nella situazione di un
educatore che si deve scontrare con le resistenze di chi non vuole accettare un
suo consiglio per un capriccio di orgoglio o perché troppo oneroso. In questo
caso l’ostacolo è la libertà di Victoria. E cosa fa Frank? Insiste, alza la
voce, cerca convincere, si arrabbia, dà spiegazioni: non vuole arrendersi
troppo presto alla decisione di Victoria di non indossare la muta di una morta,
quando invece è indispensabile. Solo quando vede che la ragazza è irremovibile,
la lascia libera di fare come vuole. E nonostante la decisione presa si fosse
rivelata effettivamente quella sbagliata, Frank non la lascia da sola: è sempre
lui che, una volta giunti dall’altra parte, si preoccupa di trovare il modo di
scaldare Victoria e di salvarle la vita. Si può fare un paragone con il nostro
modo di educare: l’educatore è colui che indica la via, fa di tutto per portare
chi si affida a lui sulla strada giusta che è la strada della vita, in alcuni
casi può fare la voce grossa per far capire l’importanza di quello che sta
dicendo e consigliando… ma questo per aiutare
l’altro a fare la propria scelta, non per sostituirsi. Il vero educatore è
colui che lascia anche la possibilità di sbagliare e di sbagliare in modo
clamoroso. Anche in questa situazione l’educatore ha il ruolo importante di non abbandonare colui che ha fatto la scelta
sbagliata ma di ricominciare da capo a cercare insieme a lui la via della vita.
4. La guida si lascia guidare
Da Frank traiamo un ultimo
insegnamento sulla figura educativa: l’educatore è colui che non solo sa
indicare la strada e sa accompagnare chi gli è affidato ma è anche colui che sa
tirarsi indietro quando il suo compito è finito. E non solo: l’educatore,
essendo anche lui un uomo che cerca la vita, è anche umilmente disponibile a
lasciarsi educare.
[01:18] Emblematica è la scena
dell’inversione dei ruoli tra Frank e Josh. Avviene mentre i due si stanno arrampicando
in una gola molto stretta. Padre e figlio salgono insieme, affaticati, fianco a
fianco; Josh riconosce la grandezza del padre e si fa insegnare la poesia Kubla
Khan. Ad un certo punto Frank dice: “Vieni, sali sulle mie spalle” e Josh passa
davanti facendo leva sulle spalle del padre. Prima uno si appoggia all’altro
per passare oltre, poi l’altro tende la mano e si lascia tirare su. Nessuno dei
due ce l’avrebbe mai fatta da solo. Da quel momento è Josh che guiderà la
spedizione fino alla fine, quando Frank addirittura lo lascerà andare da solo.
È il simbolo della vita: il padre che genera il figlio e poi lo lascia andare;
il figlio che sopravvive al padre; il maestro che si fa superare dal discepolo;
il discepolo che diventa un uomo capace di vivere diventando a sua volta
educatore e maestro di qualcun altro. Frank insegna ad ogni educatore che il
proprio compito deve finire: non è possibile e non è giusto legare a sé una
persona in un rapporto educativo eterno. L’obiettivo dell’educazione è
accompagnare qualcuno a diventare un uomo, capace di camminare con le proprie
gambe e capace di affrontare la vita e le sue sfide.
Eppure non sempre è così. C.S.
Lewis smaschera le insidie che si possono nascondere nel cuore di un educatore
che fa fatica e non riesce a lasciare andare chi gli è affidato e il pericolo
che corre l’intera sua azione educativa:
“Si
nutrono i figli per metterli presto in grado di nutrirsi da soli; si insegna
loro affinché presto possano fare a meno dei nostri insegnamenti. È dunque un
compito ingrato quello che spetta all’”amore dono”: esso deve, infatti, operare
in vista della propria abdicazione. Dobbiamo mirare a renderci superflui. Il
momento in cui potremo dire: “Non hanno più bisogno di me” dovrebbe essere
anche il momento della nostra ricompensa.
Ma
il nostro istinto, di per sé, non può arrivare a tanto; esso desidera il bene
del proprio oggetto, ma non in maniera così limpida: desidera soltanto il bene
che noi stessi possiamo dargli. Dovrebbe invece subentrare un tipo d’affetto
più alto, che desideri veramente e soltanto il bene del proprio oggetto, da
qualunque parte gli venga, aiutandoci ad addomesticare l’istinto, e a metterlo
quindi in grado di abdicare. Questo riesce di frequente, ma dove ciò non si
verifica, il bisogno famelico di rendersi necessari troverà giustificazione in
sé stesso, o tenendo il proprio oggetto in una condizione di eterna dipendenza,
o creando per lui dei bisogni fittizi. E lo farà con tanta maggiore
spregiudicatezza quanto più sarà convinto, con un fondamento di verità, di
essere un “amore dono” e, come tale, “altruista”.
Non
soltanto le madri si comportano in questo modo; rientrano nella stessa
categoria anche tutti quegli affetti che, vuoi perché derivati dall’istinto
parentale, vuoi perché ad esso simili quanto a funzione, hanno bisogno di
sentirsi necessari.
[…]
Anche la mia professione – l’insegnamento universitario – è, in questo senso,
pericolosa. Se un docente vale davvero, dovrà impegnarsi affinché giunga presto
il momento in cui i suoi allievi saranno in grado di essere suoi critici e
rivali. Dovremmo provare un gran piacere, una volta giunto questo momento, allo
stesso modo che il maestro di scherma è soddisfatto quando un allievo arriva a
toccarlo con il fioretto e a disarmarlo. E molti, effettivamente provano
soddisfazione. Ma non tutti.”
(C.S.
Lewis, I quattro amori, Jaca Book, 1992 pp 52-53)
Luca Buffoni